
Hidden on surface
Comunicato stampa, 6 aprile 2022
Albano Morandi
Hidden on surface
IAGA Contemporary Art
Strada Cloşca n. 9-11, Cluj-Napoca, Romania
Da giovedì 5 maggio a domenica 5 giugno 2022
Inaugurazione
Giovedì 5 maggio 2022 alle 18.00
Una mostra prodotta da IAGA Contemporary Art
A cura di Ilaria Bignotti
In collaborazione con Camilla Remondina
La mostra sarà visitabile gratuitamente dal martedì al sabato dalle 14.00 alle 18.00
Per ulteriori informazioni:
Sito web: www.iagacontemporaryart.com
Email: info@iagacontemporaryart.com
Tel: +40 724059844
FB: @iagacontemporaryart
IG: @iagacontemporaryartIAGA Contemporary Art è lieta di presentare la prima mostra personale di Albano Morandi (Salò, 1958) in galleria, dal titolo Hidden on surface.
Il progetto espositivo si compone sia di opere iconiche dell’artista sia di lavori inediti, appositamente realizzati per l’occasione, formati da un dittico all’apparenza contrastante, dove pazienti stratificazioni di griglie cromatiche si sovrappongono e addensano, rarefanno e affondano sulla superficie, affiancate a magmatiche, dense, campiture dove s’affacciano i segni organici, piantati nelle terminazioni nervose di Wols o spuntati lungo le partizioni cerebrali di Fautrier.
In questa prima mostra che segna l’inizio della collaborazione tra Albano Morandi e la galleria vi sono i Fiori assenti con Gesti ludici, come l’artista ha intitolato questa nuova serie, dove appunto le due declinazioni della sua ricerca – quella segnico-surrealista e quella dadaista-ready-made, tra efflorescenze organiche e tovaglie stese al sole della potenzialità immaginifica – si allineano, specchiandosi l’una nell’altra.
Seguono grandi lavori e composizioni di opere che l’artista ha esposto in momenti precedenti istituzionali, dalla Quadriennale di Roma, con Se solo potessimo cadere-Kamikaze, un’opera di grande respiro dove le velature materiche del giallo intenso si contrappongono a un verde profondo e accolgono il bislungo segno, quasi un personaggio appunto, nell’istante di una caduta o di una riemersione dall’altrove.
Sono esposti anche due straordinari Cieli estranei che l’artista ha realizzato per il cinquantesimo anniversario del film 2001-Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, certo ispirandosi all’ellisse vertiginosa temporale che unisce il primordiale gesto animale con il volteggiare nell’etere di una cellula spaziale: i Cieli estranei, dopottutto, sono calchi organici di stelle che potremo vedere in un altro momento, o forse solo immaginare (esposti nella mostra antologica del 2018 a Città della Pieve). Inoltre vi è una composizione – di nuovo torna la griglia calda e aperta al fiorire della pittura – di piccoli Fiori assenti che sono recentemente stati esposti nella grande antologica, per i 40 anni di ricerca, dedicata ad Albano Morandi a Palazzo Martinengo Cesaresco a Brescia, nel 2021.
Altre opere completano il percorso espositivo quali gli intimi Paesaggi e Interni in tempo di coronavirus che l’artista, nel perimetro domestico, ha realizzato durante il lockdown del 2020, lavorando con materiali di riuso che, con continui piccoli tocchi di colore e strati di altri materiali, rendono orizzonti di un altrove possibile, campiture di una immaginazione che resiste al silenzio e alla paura.
Per Albano Morandi l’arte contemporanea è un compendio di belle arti, teatro, musica e letteratura che sfugge alle leggi del tempo e dello spazio. La stessa curatrice Ilaria Bignotti, nel contributo critico pubblicato nel catalogo realizzato ad hoc, afferma: “Quella di Morandi è una lunga storia, una storia di pittura che si riscatta, noncurante delle buone regole del Concettuale e delle gabbie Analitiche che sino a poco prima, sul limitare degli anni Settanta, erano ancora lì agguerrite a lanciare dardi monocromi contro l’incipiente aggressione della strategica Transavanguardia.
Ma lì in mezzo, senza schivare alcun colpo, noncurandosi proprio di alcuno schieramento, era la nuova generazione di artisti, pittori e scultori che volevano amare, ancora e ancora, il caldo piacere, la sensualità materiale e tattile, del dipingere. La febbrile lentezza del porsi davanti alla tela, dentro ai grembi del colore e davanti alle rappresaglie della forma. Il sapore acre della letteratura, il dolore cinico dell’immaginazione, la sorpresa tagliente del principiare dell’immagine. La possibilità, anche, soprattutto, di contaminare e contaminarsi. Senza alcuna cautela, senza nessun pregiudizio. […]
Per questo l’indagine di Albano Morandi rifugge a ogni declinazione eppure, anche nella divergenza apparente dei risultati formali, è tutta, pienamente figlia di una immaginazione inebriante e sperimentale, originaria e alchemica: eterno principiare, Uroboro pittorico.”IAGA Contemporary Art
La galleria IAGA Contemporary Art è stata fondata nel 2014 a Cluj-Napoca, in Romania, nella regione della Transilvania, da Alberto Perobelli, imprenditore e collezionista di arte moderna e contemporanea: partito dall‟acquisizione delle opere dei grandi maestri del secondo dopoguerra italiano, attraverso l‟attività in Romania, ha iniziato ad approfondire le ricerche e i linguaggi dei giovani artisti del posto, e fondato il progetto di una galleria che potesse dare voce alle loro opere, in un dialogo attento e originale con gli artisti di altri paesi est europei e senza dimenticare alcuni giovani e mid career italiani.
Il risultato, dal 2014 a oggi, è una intensa attività di galleria, coordinata da Rosalba di Pierro, Gallery manager, che vede sei mostre all’anno e una ricca partecipazione a fiere d’arte nei paesi del nord est Europa, con qualche attenta presenza anche nelle fiere italiane.
Albano Morandi
Albano Morandi, nato a Salò nel 1958, vive e lavora a Raffa di Puegnago del Garda.
Nel 2000 vince il 1° Premio ex aequo del 40° Premio Suzzara, cui partecipa anche nel 1993 e nel 2008. Nel 2007 prende parte alla collettiva “Joseph Beuys difesa della natura”, uno degli eventi collaterali della 52a Biennale di Venezia.
Alla sua trentennale ricerca, nel 2011, vengono dedicate contemporaneamente sei personali racchiuse sotto il progetto “PICTURES AT AN EXHIBITION“, nonostante rappresentino ognuna diversi cicli di opere. Le mostre sono dislocate tra Brescia e Milano: all’ex chiesa dei SS. Pietro e Marcellino della Caserma Goito, all’ex caserma Serafino Gnutti, alla Galleria delle Battaglie, all’Associazione Culturale Maurer Zilioli Contemporary Art, al Ken Damy Visual Art e a Spazio Temporaneo.
All’artista sono state dedicate diverse mostre itineranti come “Manifesto per un Dadaismo ludico” a Spazio Temporaneo (Milano) e al Centro Civico Calcinatello (Calcinato) nel 2006 e al Victoria Art Center (Bucarest) nel 2017; “Immagini rubate a memoria” allestita nel 2017 alla Galleria Milano (Milano) e l’anno seguente alla Galleria Niart (Ravenna); “Il partito preso delle cose” portata la prima volta a Palazzo Bertazzoli (Bagnolo Mella) nel 2018 e successivamente trasferita a Palazzo della Corgna (Città della Pieve) nel 2019.
Nel 2017 alla Fondazione Vittorio Leonesio di Puegnago del Garda viene realizzata la prima antologica mentre nel 2021, in occasione dei quarant’anni dall’avvio della sua indagine artistica, ne viene allestita una seconda a Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino (Brescia) dal titolo Albano Morandi. Qui non c’è assolutamente nulla d’insolito per quanto posso vedere, eppure ardo dalla curiosità e dalla meraviglia. Opere 1981-2021, con cui viene inaugurato il progetto triennale Generazione di mezzo.
A oggi si contano più di 150 mostre nelle principali città europee, in Asia e negli Stati Uniti, che vedono la partecipazione di Albano Morandi.
Le sue opere fanno parte di diverse collezioni pubbliche, quali: Banca Credito Italiano, Milano; Banca Nazionale del Lavoro, Roma; Civica Raccolta del Disegno, Salò; Galleria d‘Arte Contemporanea, Bologna; Kunstforum della Bassa Atesina, Egna; Orto Botanico dell’Università degli Studi, Palermo; Raccolta del Disegno Contemporaneo, Galleria Civica, Modena; Stadtische Kunsthalle, Mannheim; The Drawing Center, New York.
Inoltre, dal 1984 a oggi, Morandi è stato coordinatore della Civica Raccolta del Disegno di Salò e coordinatore delle mostre organizzate dalla Provincia di Brescia a Palazzo Martinengo Cesaresco e sul resto del territorio provinciale. Fino al 2021 è stato responsabile del Servizio Specialistico Arte Contemporanea del Comune di Brescia e attualmente è direttore artistico della Fondazione Vittorio Leonesio di Puegnago del Garda.
Nel 2003 ha ideato ”Meccaniche della Meraviglia” di cui è tuttora regista e curatore, un’annuale rassegna d’arte contemporanea volta a far conoscere e valorizzare luoghi poco conosciuti ma significativi del Bresciano, attraverso percorsi di mostre d‘arte contemporanea dislocate sul territorio.
Ilaria Bignotti
Nata a Brescia nel gennaio 1979, Ilaria Bignotti è Dottore di ricerca in Teorie e Storia delle Arti e Curatrice scientifica di Archivi ed Estates d’Artista; è curatrice indipendente e critica d’arte.
É nel Comitato curatoriale di ArteJeans, progetto rivolto alle arti contemporanee per la costituzione di un Museo-Archivio del Jeans a Genova (dal 2020-in corso).
È nel Comitato scientifico del MoRE Museum, a museum of refused and unrealised art projects (dal 2011-in corso).
È Specialista in storia dell’arte moderna e contemporanea (XIX, XX e XXI secolo) per il nuovo corso quinquennale “Dell’Arte” di DeAgostini Scuola per le Scuole Secondarie Superiori e le Università, a firma di Ernesto Luciano Francalanci (prima edizione 2021).
Dal 2003 a oggi ha ideato, organizzato e curato progetti espositivi internazionali lavorando anche per estesi periodi e continuativamente con Musei, Istituzioni e Fondazioni, in Italia e all’estero.
É Visiting Professor presso sedi universitarie italiane e internazionali.
È Perito in arte moderna e contemporanea per il Tribunale di Brescia.
Dal 2003 a oggi, ha pubblicato oltre un centinaio di libri, tra i quali cataloghi d’arte moderna e contemporanea in occasione delle mostre curate, ha scritto diversi saggi e contributi in monografie scientifiche e cataloghi ragionati.
Albano Morandi_Gesti d’amore per la pittura
Di Ilaria Bignotti
L’artista ha apparecchiato il tavolo anatomico della pittura.
Ha steso la superficie che accoglie, strato dopo strato, i colori: li dispone voracemente, li taglia con il pennello, li inforca per portarseli agli occhi, nutrendo così la sua fame d’immagini.
Queste si generano dal suo stesso divorarle, mentre la sete è placata dal disciogliersi stesso della materia pittorica, alla cui fonte si abbeverano voglie d’icona.
Strato dopo strato, la mensa lenta e immaginifica dell’artista è un banchetto dove sontuose tovaglie son griglie calde di memoria e desiderio: intimi e ancestrali.
Mi piace iniziare questo testo, dedicato alla prima mostra personale di Albano Morandi a IAGA Contemporary Art – mostra che segna l’avvio della sua collaborazione con la galleria – con questa opulenta metafora del desco dell’arte, imbandito e fatto subito a pezzi dall’artista.
Non avevo altra scelta, nel vedere giorno dopo giorno il lento affiorare delle sue nuove opere, appositamente realizzate per questo progetto: formate da un dittico all’apparenza contrastante, dove pazienti stratificazioni di griglie cromatiche si sovrappongono e addensano, rarefanno e affondano sulla superficie, affiancate a magmatiche, dense campiture dove s’affacciano i segni organici, piantati nelle terminazioni nervose di Wols o spuntati lungo le partizioni cerebrali di Fautrier.
Quella di Morandi è una lunga storia, una storia di pittura che si riscatta, noncurante delle buone regole del Concettuale e delle gabbie Analitiche che sino a poco prima, sul limitare degli anni Settanta, erano ancora lì agguerrite a lanciare dardi monocromi contro l’incipiente aggressione della strategica Transavanguardia.
Ma lì in mezzo, senza schivare alcun colpo, noncurandosi proprio di alcuno schieramento, era la nuova generazione di artisti, pittori e scultori che volevano amare, ancora e ancora, il caldo piacere, la sensualità materiale, tattile del dipingere.
La febbrile lentezza del porsi davanti alla tela, dentro ai grembi del colore e davanti alle rappresaglie della forma.
Il sapore acre della letteratura, il dolore cinico dell’immaginazione, la sorpresa tagliente del principiare dell’immagine.
La possibilità, anche, soprattutto, di contaminare e contaminarsi. Senza alcuna cautela, senza nessun pregiudizio.
L’alfabeto di Morandi – al di là delle codificazioni che la critica nel tempo gli ha dato, oltre alle fonti rintracciate che effettivamente hanno segnato il percorso dell’artista, dagli squilibri surrealisti ai deliri di Dada, alla messa in scena del dipingere rivendicata al maestro, uno dei maestri di Accademia, Toti Scialoja – si riprende il diritto di scrivere l’opera nel suo poter essere, al di là della storia e delle sue categorie.
Per questo la sua indagine rifugge a ogni declinazione eppure, anche nella divergenza apparente dei risultati formali, è tutta, pienamente figlia di una immaginazione inebriante e sperimentale, originaria e alchemica: eterno principiare, Uroboro pittorico.
Ce lo dicono i suoi cicli: sin da quando Morandi piega e ripiega la carta di riso per seguire il margine della frattura, facendo franare lì dentro l’immagine (le Carte di riso, fine anni Settanta).
Poi fa colare e roteare la materia pittorica che si addensa e impasta sulla superficie, tirando fuori presagi fitomorfi, calchi vegetali, lunghe zampe che si stirano sui perimetri di grandi carte e tele, atti di una tempesta iconica e possente (i Fiori assenti, i Formichieri Trampolieri e i Kamikaze, anni Ottanta).
Annaspa in cieli gonfi di pioggia, fa colare le stelle e le galassie: in queste opere (i Cieli estranei, fine anni Ottanta) José Pierre vide la Via Lattea dell’artista, ricordando i versi sinestetici di Paul Verlaine in un suo scritto del febbraio 1992:
Voie lactée ô soeur lumineuse
Des blancs ruisseaux de Chanaan
Et des corps blancs des amoureuses
Nageurs morts suivrons-nous d’ahan
Ton cours vers d’autres nébuleuses
Ma l’artista non resta impigliato nella maniera.
Si apparecchia ogni sera il banchetto delle sue stesse illusioni e poi le divora.
Tira lunghi nastri colorati adesivi, espande matasse di pittura, ramificando maglie ortogonali che anelano al misfatto dell’imperfezione, colore su colore.
Sono “le mie tovaglie”, mi ha scritto qualche giorno fa, quando gli ho mostrato alcuni dipinti di Georg Baselitz, dove si trovano le squadrature di un desco, o di una finestra, dove l’artista tedesco vi affigge una donna, un vaso, dei pesci, dei fiori, affliggendo i nostri occhi con il metodo del ribaltamento e quella bestialità del dipingere che ti inchioda all’opera e ti porta lontano, alla tua origine del vedere.
Semplicemente, “le mie tovaglie”: l’alfabeto famelico di Morandi è fatto di reminiscenze e passioni, amori e rimandi: bisogna scovarli. Lui è un artista che non ama parlare di sé, non dichiara così apertamente le sue passioni, al massimo accenna a qualcosa, se sollecitato. Preferisce raccontare storie, descrivere l’incontro con l’amico artista, il whiskey bevuto nel pomeriggio romano, l’arrivo di notte a Parigi, il freddo dello studio, il figlio che non segue i contorni di un disegno.
Il suo è un approccio alla vita e la pittura, come la parola, la scena teatrale, la musica, anche la curatela, sono tutte forme di un vivere l’arte come atto quotidiano e necessario. Per questo Baselitz è la sua tovaglia. Ci ha mangiato sopra, si è mangiato anche Baselitz.
Ovvero quell’espressionismo affamato di riscatto che tra fine anni Settanta e pieni anni Novanta, mentre si compiono i gesti-cicli principali di Morandi, una certa generazione europea stava dipingendo: scrivendo una storia che dobbiamo ancora pienamente riconoscere.
Una storia di uomini artisti non irascibili né analitici: accaldati, affamati, che credono nell’arte come in un desco dove mescolare odori, impastare sapori, distillare la vita.
Di questa storia è piena la prima mostra personale di Albano Morandi in galleria: vi sono le nuove opere, i Fiori assenti con Gesti ludici, come l’artista intitola questa serie, dove appunto le due declinazioni della sua ricerca – quella segnico-surrealista e quella dadaista-readymade, tra efflorescenze organiche e tovaglie stese al sole della potenzialità immaginifica – si allineano, specchiandosi l’una nell’altra; vi sono, anche, grandi lavori e composizioni di opere che l’artista ha esposto in momenti precedenti istituzionali, dalla Quadriennale di Roma, con Se solo potessimo cadere-Kamikaze, un’opera di grande respiro dove le velature materiche del giallo intenso si contrappongono a un verde profondo, e accolgono il bislungo segno, quasi un personaggio appunto, nell’istante di una caduta o di una riemersione dall’altrove; vi sono due straordinari Cieli estranei, che l’artista ha realizzato per il cinquantesimo anniversario del film 2001-Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, certo ispirandosi all’ellisse vertiginosa temporale che unisce il primordiale gesto animale con il volteggiare nell’etere di una cellula spaziale: e i Cieli estranei, dopottutto, sono calchi organici di stelle che potremo vedere in un altro momento, o forse solo immaginare (esposti nella mostra antologica del 2018 a Pieve di Cento); vi è una composizione – di nuovo, torna la griglia calda e aperta al fiorire della pittura – di piccoli Fiori assenti che sono recentemente stati esposti nella grande antologica, per i 40 anni di ricerca, dedicata ad Albano Morandi a Palazzo Martinengo a Brescia, nel 2021. Altre opere completano il percorso espositivo: quali gli intimi Paesaggi e Interni in tempo di coronavirus, opere che l’artista, nel perimetro domestico, realizza durante il lockdown del 2020, lavorando con materiali di riuso che con continui, piccoli tocchi di colore e strati di altri materiali rende orizzonti di un altrove possibile, campiture di una immaginazione che resiste al silenzio e alla paura.
Si era detto di una Via Lattea dove organismi appena emersi dal magma della pittura già son calchi di un divenire.
A vedere oggi questi Cieli estranei, questi Fiori assenti, affiancati come a difendersi nella loro fragile delicatezza alle maglie cromatiche e calde degli ultimi lavori, forse più che a tavoli imbanditi di fame mi vien da pensare a letti sfatti di gesti d’amore. Per la pittura che è la vita.
E allora mi viene anche da pensare all’amico di Verlaine, Rimbaud, quando scrisse:
L’étoile a pleuré rose au coeur de tes oreilles,
L’infini roulé blanc de ta nuque à tes reins;
La mer a perlé rousse à tes mammes vermeilles
Et l’Homme saigné noir à ton flanc souverain.